Nello sport l’impegno e la motivazione sono spesso due elementi chiave nel rapporto allenatore atleta. Un bambino interessato e curioso di ciò che fa può essere un buon esempio per tutti gli altri, stimolando l’emulazione o l’apprendimento dell’intero gruppo.

Il bambino motivato, però, ha la peculiarità di essere talvolta molto raro. Averne due o tre nello stesso gruppo è quasi come vincere alla lotteria: se capita, dimezza gran parte dei problemi dell’istruttore. 

Ci sono alcune strategie che possono essere adottate dagli educatori sportivi per poter incentivare la motivazione individuale all’attività sportiva. Per comprenderle meglio useremo come lente di ingrandimento alcune ricerche di riferimento.

La scienza del rapporto allenatore-atleta

Secondo la teoria del clima motivazionale di Nicholls (1984,1989) e Ames (1992), ci sono due tipologie di clima motivazionale che possono essere adottate durante la lezione: un clima orientato al compito ed un clima orientato alla competizione. Nel primo, il contesto di gioco è diretto verso l’apprendimento e la cooperazione, incitando il coinvolgimento di ciascuno (anche dei meno bravi); mentre nel secondo si predilige la competizione, punendo chi sbaglia ed elogiando i più competenti.

Di certo i bambini reagiscono in modo diverso a seconda del clima motivazionale promosso: le ricerche affermano che il clima motivazionale orientato al compito favorisce la motivazione alla pratica sportiva e consolida una motivazione intrinseca fin dai primi anni di attività motoria. Ma questo non solo durante la scuola primaria, in quanto si è osservato come lo stesso clima incentivi nelle scuole di secondo grado buone relazioni nel gruppo classe, buoni livelli di competenza e anche autonomia dei ragazzi (Ntoumanis, 2001). 

Percorsi di Mental Training

Un altro studio interessante e recentissimo è stato condotto da Ansell e Spencer. I due hanno indagato differenti dimensioni del Feedback, incluse la tipologia e l’intenzionalità percepita, su un campione di 30 giovani giocatori di Hockey. Interpretando i risultati, gli studiosi hanno evidenziato quelle che potrebbero essere le più probabili implicazioni pratiche:

➡️ L’allenatore dovrebbe sempre fornire un feedback, stimolando il pensiero critico sulla performance (Pensa A COSA stai facendo, e PERCHÈ lo stai facendo!);

➡️ La tipologia meglio percepita di feedback da parte del giovane atleta consiste nel feedback costruttivo.

Da queste considerazioni si nota come lo stile comunicativo dell’istruttore, nel rapporto allenatore atleta, ha una grande valenza pratica sportiva. Perché, incentivando la presa di coscienza dei miglioramenti individuali e mettendosi a disposizione nella relazione con l’atleta, andrà ad appagare quei bisogni fondamentali del giovane che si affaccia alle prime esperienze pratiche di uno sport (autonomia, competenza e buone relazioni). Niente però arriva per nulla. Saranno quindi necessari energie e tempo sul lungo periodo per vedere i frutti del proprio lavoro.

Di contro, alcune ricerche affermano che uno stile comunicativo orientato al controllo, che non considera l’allievo al centro del processo di apprendimento, disincentiva la motivazione e nega la soddisfazione dei bisogni fondamentali di ognuno.

Dalla teoria alla pratica

Uno dei fattori che più spaventa l’istruttore è la scelta dell’attività da svolgere. Se le ricerche affermano che lasciare spazio all’autonomia dà buoni riscontri sul processo motivazionale degli allievi, quando siamo sul piano del reale sembra tutto più difficile. La paura di perdere il controllo del gruppo è spesso uno dei fattori che demotiva l’educatore sportivo a delegare la scelta ai propri allievi. Anche il gravoso dispendio di energie richiesto è uno dei fattori che fa protendere ad evitare questo stile di lavoro. 

Cosa si intende per promozione all’autonomia? Non dobbiamo pensare di adottare uno stile completamente lassista, senza regole o di puro svago e divertimento. Infatti l’educatore decide il gesto motorio o lo strumento da sperimentare, ma lascia libertà di scelta al gruppo su come farlo. Oppure, se siamo in un’età adatta all’agonismo, porre un problema ai ragazzi e decidere insieme la tattica da utilizzare.

Non sempre è possibile attuare questa modalità, ma andare per gradi e proporre soluzioni in base al grado di maturità del gruppo è una buona prassi. Se le basi di rispetto reciproco e coinvolgimento vengono ben strutturate ci si cimenterà in obiettivi sempre più rivolti all’autonomia individuale. 

In ottica di favorire il bisogno di competenza, è bene porre l’attenzione all’insieme, non esclusivamente ai bambini o ai ragazzi più competenti. In questo modo si rimanda al gruppo che non ci sono allievi di categorie diverse, ma che si ha un occhio di riguardo ai progressi personali di chiunque e si collabora gli uni con gli altri per il raggiungimento di uno scopo comune. Questo influisce in maniera positiva anche sulle relazioni interne.

Come? Premiando non chi fa la prestazione migliore ma chi migliora di gran lunga la propria. 

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