Nell’articolo di oggi affronteremo, a carattere puramente informativo, alcune competenze psicologiche fondamentali ad un allenatore, utilissime nel favorire la comunicazione con gli atleti e la performance.

Abbiamo affrontato in precedenza simili argomenti, riferendoci a studi scientifici svolti su giovani atleti. Nelle prossime righe, invece, prenderemo in considerazione i player in età adulta.

Le variabili in gioco sono più di una: dalla motivazione, alla leadership, fino alla gestione emotiva. Ognuna di queste influenza le altre, promuovendo – o distruggendo – la performance e il benessere dell’individuo-atleta. Andiamo a scoprire in che modo. 

Competenze psicologiche e allentore: facilitatori ed emozioni

In gergo, il termine facilitatore si riferisce ad una figura che svolge un ruolo di mediazione all’interno del gruppo, allo scopo di ridurre i conflitti, aumentare il coinvolgimento e la partecipazione, stimolare il pensiero creativo e il problem solving. Non solo: come da nome, l’individuo in questione faciliterebbe il raggiungimento degli obiettivi del gruppo.

Percorsi di Mental Training

Ed esattamente questo dovrebbe essere il ruolo dell’allenatore all’interno del team. Facilitare sia la squadra come gruppo che i singoli atleti al raggiungimento di abilità superiori, favorendo il benessere e la comunicazione.

Secondo Paul e Louise Davies, inoltre, una delle competenze psicologiche estremamente proficua per gli allenatori di ogni sport consiste nel saper gestire con successo le proprie emozioni.

Nella pubblicazione del 2016 intitolata “Emotions and emotion regulation in coaching“, i due studiosi affermano che l’abilità di regolare le emozioni da parte del coach influenzerebbe l’atleta su tre grandezze principali:

  • La performance espressa;
  • Il benessere individuale;
  • Le relazioni interpersonali.

Il rapporto allenatore-atleta, imprescindibile sin dai primi momenti di approccio alle varie discipline, è associata per forza di cose nella tanto celebre motivazione. In che modo?

La motivazione? Basta “essere cattivi”

Il costrutto della motivazione viene spesso associato ad allenatori urlanti e “cattivi”, che solo con tali modi sono in grado di estrapolare il talento dal corpo del giocatore, ottenendo la miglior prestazione mai vista. Come tutte le spiegazioni date dalla Psicologia Ingenua, non è dato sapere né il come né il perché questo si verifichi: accade e basta.

In realtà, si tratta di un falso mito, un dogma che non poggia su alcuna base logica. La psicologia dello sport, poi declinata con centinaia di migliaia di nomi all’interno dei campi da gioco, è una scienza. E, come tale, possiede forti basi teoriche, che sfociano in un utilizzo consapevole della pratica.

Nonostante io abbia spesso trattato l’argomento, tengo a ribadire che esistono modalità validate per accrescere la motivazione degli atleti. Molto banalmente, il saper concepire e gestire obietti con il modello SMART renderà il player concentrato e motivato.

Al contrario, fissare obiettivi troppo semplici, o particolarmente inarrivabili, promuoverà la demotivazione e pensieri intrusivi. Come avrai avuto modo di comprendere, ogni allenatore dovrebbe possedere all’interno del proprio bagaglio tecnico anche competenze psicologiche.

In caso contrario, anche la più piccola “scintilla sociale” potrebbe essere causa di incendi devastanti. La gestione del conflitto, del gruppo, e le conseguenze che ne possono derivare sono un problema solo nel momento in cui manca il Know-how psicologico.

Oltre alle guide sul blog, puoi trovare molte altre informazioni su teoria e pratica del mental coaching sportivo su YouTube, dove affronto spesso argomenti poco dibattuti sul web, servendomi della ricerca scientifica. Alla prossima, qui o sui social!

Ascolta l’episodio, con approfondimenti!

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